Quest'anno
è andata. Ce l'abbiamo fatta. Dopo un anno di pausa, ritorno a
tener testa all'obiettivo di una visita in miniera all'anno. Non vado
molto lontano da casa, ma è comunque un luogo inesplorato, per
quanto mi riguarda. E disattivato da 35 anni. E' il ParcoArcheominerario di San Silvestro: non l'ho visitato il 31 dicembre,
bensì in un assolato mezzo pomeriggio di fine luglio. Siamo
pochi chilometri fuori dal centro abitato di Campiglia Marittina,
borgo collinare – a dispetto dal nome – nel sud della provincia
di Livorno, nella cosiddetta Valdicornia. E proprio alla rete Parchi
della Valdicornia appartiene la mèta in questione, allestita
attorno ad un sito minerario sviluppato dall'uomo sostanzialmente
negli ultimi due secoli, anche se il primo massiccio insediamento
risale a prima del Medioevo, e tracce di scavo chiamano in causa gli
Etruschi. San Silvestro è il nome del villaggio di minatori e
fornitori che sul colle più alto dell'area fu realizzato e
abitato tra il mille e il 1200 per volere dei conti della
Gherardesca, casata nobiliare tra le più longeve del mondo,
visto che ha saputo tramandarsi intatta fino ai giorni nostri.
L'abitato, invece, dopo quei due secoli fu abbandonato; visto oggi
dal basso, simboleggia proprio l'archetipo del villaggio fantasma.
San Silvestro è oggi il culmine dei percorsi di visita del Parco: arrivarci presuppone un'ora buona di camminata, onestamente sconsigliabile sotto il solleone estivo. Ma variare in piena estate una villeggiatura sulla costa livornese per spostarsi fin quassù non è comunque uno spreco di tempo. In cerca di refrigerio, si può scendere nei 360 metri di percorso ricavati nella cosiddetta miniera del Temperino, appena sotto il centro di accoglienza del Parco, per farsi un'idea delle estrazioni qui compiute già in epoca etrusca; si può spostarsi a piedi (10 minuti) verso il Pozzo Earle, e toccare con mano non solo l'ascensore che calava i minatori in sotterranei, e il relativo imponente argano; anche la centrale elettrica, i martelli pneumatici e altri strumenti di lavoro esposti sul posto.
San Silvestro è oggi il culmine dei percorsi di visita del Parco: arrivarci presuppone un'ora buona di camminata, onestamente sconsigliabile sotto il solleone estivo. Ma variare in piena estate una villeggiatura sulla costa livornese per spostarsi fin quassù non è comunque uno spreco di tempo. In cerca di refrigerio, si può scendere nei 360 metri di percorso ricavati nella cosiddetta miniera del Temperino, appena sotto il centro di accoglienza del Parco, per farsi un'idea delle estrazioni qui compiute già in epoca etrusca; si può spostarsi a piedi (10 minuti) verso il Pozzo Earle, e toccare con mano non solo l'ascensore che calava i minatori in sotterranei, e il relativo imponente argano; anche la centrale elettrica, i martelli pneumatici e altri strumenti di lavoro esposti sul posto.
Soprattutto,
si può montare in treno. Perché questo è il
tratto distintivo del Parco di San Silvestro, oltre all'omonimo
villaggio-fantasma. Dal pozzo Earle si risale ancora circa 200 metri
a piedi. Un grigio (bruttino) prefabbricato sulla destra alloggia
testimonianze scritte e video sulla storia della miniera. Sulla
sinistra, un 'buco' nella collina e un binario che ne esce,
attorcigliandosi in cerchio su sé stesso. Attendiamo in
gruppo l'ora prefissata: il 'convoglio' transita a intervalli per lo
più di un'ora. Prima sorge una lucina nel buio, poi una
macchia di giallo, ed ecco il treno di miniera che appare dalla
galleria con la sua decina di vagoni a 4 posti. Prendiamo posto e
allacciamo la cintura. Tra noi anche visitatori nordeuropei: la voce
della guida li degnerà per una volta di indicazioni in lingua
inglese, all'inizio, poi per il resto della visita non lo farà
più. Eh sì, entrare in miniera qui significa
consegnarsi necessariamente alle volontà di una guida
autorizzata. Tutto il percorso (1 km circa) si snoderà a bordo
del treno, secondo un copione embedded che ricorda tanto i city
sightseiing delle grandi città; ma che ha il risvolto non
banale di accattivare facilmente i bambin. Siccome questa per me è
la prima visita con prole al seguito, il vantaggio non va
sottovalutato.
Il
treno in movimento ci rapisce al sole di luglio per immergerci nei 14
gradi del buio: la voce della guida si diffonde tra i vagoni come
quella che reclamizza il vagone ristorante sui Frecciarossa, ma qui
si va ben più piano, e si racconta di ben altro. La storia del
sito e della galleria Lanzi in particolare, il più alto tra i
tre livelli sotterranei che tra il XIX secolo e gli anni '70 le
maestranze avevano 'bucato' gradualmente. Dopo una ventina di minuti
circa torniamo sotto la luce del sole, coi binari che si affacciano
su una vallata ricavata artificialmente a inizio Novecento dalla
Etruscan Mines, allora detentrice del sito, ceduto poi in epoca
finale alla Montecatini Spa. E' qui che il gruppo di visita scenderà
e si sgranchirà le gambe per una decina di minuti circa,
secondo i dettami della guida. Se la giornata è tersa, da qui
(giura la guida) l'orizzonte spazia fino all'Isola d'Elba. Ben più
netta, sopra gli occhi, si staglia la sagoma del villaggio di San
Silvestro, e il percorso campestre che ne discende.
Una
vista certo suggestiva. Ma a ben pensare, il momento di maggior
coinvolgimento lo offre il buio. Quello totale, e inatteso, che
coglie i visitatori a metà del viaggio in galleria: il treno
rallenta fino a sostare, le luci lungo il percorso si spengono
simultaneamente. Il pubblico ha appena il tempo per chiedersi 'che
succede', quando alle orecchie giunge nitida una voce recitante:
narra il pensiero di Dumas Tofani, minatore di lungo corso del sito.
Parole scandite lente che stringono l'anima nel rievocare la fatica
di chi qui ha lavorato una vita, spesso perdendovela bruscamente o
gradualmente; e che sottolinea come tutto quanto qui realizzato dopo
la chiusura ia stato fatto pensando a loro, i minatori.
Poi,
il secondo coup de teatre: si riaccendono le luci, e i passeggeri
realizzano di trovarsi nel punto più vasto della miniera,
quello dove la perforazione si è spinta così avanti
tanto in largo che in altezza, da richiamare a me istintivamente il
ricordo delle grotte di Frasassi, visitate 2 anni prima. Qui anche la
voce della guida, per lo più mono-tona, tradisce
coinvolgimento e aggiunge particolari sul lavoro di coppia che gli
uomini conducevano: sul loro essere preparati in tutte le fasi della
coltivazione (“a differenza delle Metallifere” - dice - “dove
erano specializzati sulle esplosioni”); sulla 'comanda' di portare
30 tonnellate di materiali in superficie per ogni turno. Quali
materiali? Calcopirite, soprattutto, ma anche pietre che alla lunga
restituivano poi argento e rame, passando per le laverie di Valle
Lanzi (il sito sottostante che prende il nome dai minatori Tirolesi
che qui insistettero nel 1500) o per San Vincenzo.
Altri
siti minerari sin qui visitati mi sono parsi più efficaci
nella ricostruzione del lavoro di miniera, nella rappresentazione
della fatica e degli strumenti di lavoro, della loro pericolosità:
la 'trovata' di metà percorso al buio, obiettivamente, è
suggestiva quanto basta per valere da sola la visita a Campiglia. E
se poi si vuol spaziare, con calma, oltre a raggiungere la 'cima' di
San Silvestro è possibile seguire altri 5 itinerari pedestri,
sparsi nell'area. Da vedere.