lunedì 23 maggio 2016

Las locas


"La pazza", Giacomo Balla

“In questa vicenda la cosa più interessante eravamo noi”. Parla di donne, Norma Berti. Di chi come lei e con lei coabitò (spesso, fino a morirvi) la desaparicion durante l'ultima dittatura argentina, tra il '76 e l'83. Ha scritto un libro, “Donne ai tempi dell'Impunità”. E quel libro è lo spunto colto da Anmesty international per riproporre la memoria di quei fatti in una sala di biblioteca di un Paese apparentemente molto lontano, ovvero l'Italia.
Devo averlo già fatto mille volte; ma a chi l'ascolta in quella sala la Berti racconta, dilungandosi, di sparizioni; di privazioni, di violenze, torture. Anche se non scende in particolari, perché non è questo che le interessa: “qualche anno fa una trasmissione tv italiana, I fatti vostri, mi chiese di intervenire come ospite. Mi fecero capire che a loro interessava sviscerare le modalità con cui eravamo state torturate. Obiettai che non avrebbe avuto senso un intervento di questo tipo senza dire un minimo di parole sul contesto in cui questo si verificava. Non mi chiamarono più”.

Qualcuno in sala le chiede com'era stato possibile che ciò avvenisse: “il golpe cominciò il 24 marzo 1976. Ma era stato preparato da tempo. Il 70 per cento dei desaparecidos fu fatto sparire nei primi tre mesi. Sapevano con esattezza dove volevano colpire. All'inizio furono favoriti dall'impressione diffusa in molta opinione pubblica, per la quale l'intervento dei militari tutto sommato poteva servire per mettere ordine nella guerra 'sucia' che si stava trascinando tra ala sinistra e ala destra del peronismo. Poi la propaganda fece la sua parte, facendo leva anche sui mondiali di calcio. Ci volle la guerra delle Malvinas, ovvero l'implosione dei dittatori su loro stessi, per porre fine a quel periodo. Nel frattempo erano cominciati gli anni '80, gli anni del riflusso dalla politica. E quando la maggior parte di noi sopravvissute torno a riprender contatti con la società argentina, non si raccapezzò più”.

Quelle donne sopravvissute, secondo Norma Berti, sono la parte migliore della vicenda golpista. Per ciò che s'inventavano nei campi di detenzione per sopravvivere, non impazzire, non cedere alla delazione. E per ciò che quelle che erano rimaste fuori inventarono. per logorare lentamente ma in modo micidiale il regime. Quelle che erano rimaste fuori, ovvero le madri di plaza de mayo. Quelle come Vera Vigevani, che in quella stessa sala di Biblioteca aveva testimoniato otto anni fa; e me lo ricordo bene. “Las locas”, quelle pazze – come venivano definite – che di giovedì in giovedì annientarono l'indicibile violenza. Senza violenza.

 La sala che ascolta non è colma; ma ci sono volti giovani, più di quanti ce ne fossero nel 2008; e chissà che tra questi  non ci sia qualcuno che all'epoca ascoltò Vera come maturando del Liceo Galilei.. Sul finire, accanto a me si siede una ragazza bellissima, abbigliamento casuale e trucco curato. Ha l'aria di attendere quel che di questo venerdì sera seguirà; ma intanto nobilita la platea, e ciò che questa ascolta magari nobiliterà lei. Chissà se il seme della determinazione di quelle "pazze" passerà di mano in queste fresche  menti, da stasera.

Qual'è il posto di questi argomenti nell'Argentina attuale, ho chiesto sul finire dell'incontro? E' un posto non ben identificato. Così mi ha detto la Berti: “nel 2003 Nestor Kirckner fu il primo Presidente ad ammettere ufficialmente le colpe dello Stato, vent'anni dopo quei fatti. Negli anni seguenti i diritti umani sono diventati materia di studio diffusa nelle scuole e alle università. Molti luoghi di detenzione sono stati convertiti in luoghi della memoria. Questo, fino al 2015. Dal subentro di Macrì alla Presidenta Cristina Kirckner sono state azzerate le sovvenzioni alle associazioni per i diritti umani. Due ex militari collusi con la dittatura sono stati nominati alti gerenti della compagnia aerea di bandiera. Non so se ho risposto alla sua domanda...”