“Pensano
che tutto vada bene, pur di portarsi a casa uno stipendio, ma fare un
mestiere non c'entra un accidente con il guadagnare dei soldi. E io
ho faticato 40 anni qua dentro solo per venire un bel giorno in cava
e vederli leggere sul giornale fuori dalla testa quelle sulle
stronzate sugli incidenti sul lavoro. Come se il lavoro accoppasse i
cristiani. Nessun lavoro ammazza la gente. Sono le persone a farlo”.
Ecco
dove mi ha portato, quel libro. A scolpirmi in testa altre due frasi.
Che estrapolate dal resto del testo forse non si apprezzano in pieno; ma che,
garantisco, rendono l'idea meglio di tanti dibattiti su cosa voglia
dire fare con dignità e civiltà un lavoro, qualunque
esso sia. E più che mai, se è un lavoro di miniera o di
cava. A proposito di dignità, ci sono due pagine finali
folgoranti (le 198-199) del libro di Cavina, quelle in cui il padre
fa svestire alla figlia i vestiti alla moda acquistati con i guadagni
dei lavori di cui lei si vergogna. Troppo lunghe da copiare.
Cercatele, e leggetele.
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