sabato 21 gennaio 2012

Memorie d'archivio

Quelli inseriti prima della data odierna sono i post recuperati dalla precedente versione del blog, on line fino a fine gennaio 2012 su minimemo.splinder.com. Quelli che seguiranno, se ce ne saranno, saranno alla loro prima apparizione. Le foto correlate sono visibili qui  . 

giovedì 19 gennaio 2012

FRA I SASSI, 25 ANNI DOPO LA SCOPERTA

La visita di quest'anno segna un'eccezione. Non racconterò di una miniera, ma di una grotta. La grotta per antonomasia, in Italia, se ancora è lecito usare questo termine. Anzi: le grotte: quelle di Frasassi, e del resto visitarle a settembre 2011 ha un suo particolare perché.

Il 25 di questo mese ricorrono 40 anni tondi dal giorno della scoperta di questo sconfinato astratto, sicuramente un episodio tra i più coinvolgenti del contatto tra uomo e natura. E percorrere oggi per due volte (andata e ritorno) quel dedalo da 800 metri è un esperienza che porta con decisione a considerare il bene e il male della relazione tra l'uomo e il creato. Non puoi ch'esser grato all'uomo, anzi agli uomini che nel 1971 le scoprirono, per aver dato la possibilità all'umanità di godere di una vista tanto stupefacente e variegata sull'antro del pianeta. Al tempo stesso, però, non puoi non notare come le uniche note – anzi, colorazioni – stonate là dentro siano proprio frutto dell'uomo, o meglio di quei visitatori che negli anni, si sono infischiati degli appelli al 'non toccare' rivolti loro dalle guide, e posano dita su stalagmiti e stalattiti ne hanno provocato un evidente e brutto annerimento.

Certo è che quel gruppo di membri del locale Club Alpino, all'epoca, devono aver vissuto un emozione davvero indicibile “quando il sasso iniziò a cadere” (come cita la guida che ci fa strada in visita) e toccò terra solo dopo istanti che apparvero lunghissimi. Quella corrente d'aria che fuoriusciva da una 'tana' nel terreno li insospettì, vivaddio: là sotto c'era una cavità capace in volume di alloggiare l'intero Duomo di Milano, e l'inizio della scoperta avvenne proprio dopo che quel sasso cadde all'interno risuonando all'atterraggio solo molto in lontananza. In piccolo, il visitatore rivive oggi quell'emozione, anche perché, tra le varie che si visitano, quella grotta è proprio la prima a rivelarsi: immensa, variegata, ricca di particolari che pian piano si svelano grazie anche ad una efficace e non invasiva illuminazione.

Puoi distinguere così la gigantesca stalagmite che riproduce involontariamente il profilo del Sommo Poeta; un 'gigante' cresciuto in appena 130mila anni; la mastodontica 'spada di Damocle” che scende dalla volta per quasi 7 metri e mezzo. Andando avanti, c' è occasione per apprezzare scenari meno vasti, ma non meno stupefacenti, il laghetto che intravedi in profondità sotto la cosiddetta 'orsa'; l'altro specchio d'acqua detto 'delle candele' che sembra appena uscito da una favola; le concrezioni a forma di foulard, o tovaglia o 'fettina di lardo', come una delle più celebri viene chiamata. Il percorso turistico è relativamente breve, se si pensa che sono in tutto 30 chilometri i percorsi riportati alla luce nell'arco dei 40 anni: un po' di più si riesce a visitare con i due percorsi speleologici, per i quali è bene metter in conto più tempo dei canonici 270 minuti, egregia preparazione fisica e immunità alla claustrofobia. Certo è che anche nella visita-base c'è abbastanza per imprimere indelebilmente, anche perché a fissare fortemente i colori provvede il passaggio di ritorno nella grotta grande, subito prima di riuscire da questa bolla fuori del tempo, dove la temperatura è sempre compresa tra i 13 e i 14 gradi (e l'umidità tra il 90 e il 99 per cento).

Fuori ci aspettando dintorni interessanti, come l'accogliente Fabriano, l'interessante museo della carta e il gioiello romanico della vicina abbazia di San Vittore. Peccato per la biglietteria delle Grotta, nel nostro caso scortese e indisponente.

(15 settembre 2011)

33 E STOP

Libero oggi sarebbe contento, e forse lo sarà davvero, lassù. Oggi è il giorno del ritorno alla vita, della forza di gruppo degli uomini che prevale sull'oblio della miniera. E' il giorno dei “los 33”, i mitici minatori cileni salvati dopo una lunga, estenuante, epica attesa. Oggi è un gran giorno, per loro, le loro famiglie, il Cile e per tutti.
Libero probabilmente si augurerebbe che di questi giorni non ce fosse più bisogno, in futuro. Che quella stessa capacità imprenditoriale che è stata in grado di inventare il sistema per salvare quegli uomini fosse impiegata per rendere più sicura la vita – dura – di tutti i giorni dei tanti minatori che lavorano ancora in condizioni proibitive in giro per il mondo. Viva il Cile dunque, ma viva soprattutto tutti quelli che si impegneranno che un'apprensione di questo tipo, sottosuolo, non si ripeta mai più.

(14 ottobre 2010)

IL SECOLO DEL RAME A MONTECATINI VAL DI CECINA

Sarà perché da non molto è diventata guida turistica ambientale, e come lei racconta, in questo ruolo “ci crede molto”. Sarà perché ai laboratori didattici che sempre più spesso si organizzano sul posto ha partecipato anche suo figlio. Fatto sta che è una fortuna visitare in compagnia di Gianna Franci, nel 2010, il centro minerario di Montecatini Val di Cecina. Perché la passione che lei ci trasmette è contagiosa, pur non ricorrendo ad iperboli od enfasi eccessive: il tono di racconto si mantiene sempre pacato, quasi fosse una forma di rispetto per le migliaia di persone che là sotto si sono sudati l'esistenza. Ed i 60 minuti di visita scorrono via interessanti e leggeri, benché il sito non sia certo tra i più estesi e ricchi del territorio italiano. Come che sia, Montecatini Val di Cecina è un pezzo di storia dell'industria mineraria e soprattutto chimica nazionale: dal nome del paese fu coniato quello dell'azienda che, dopo alcuni decenni, acquisì la Edison dando vita alla celeberrima Montedison.

Siamo nella val di Cecina, amena e suggestiva terra di confine tra le provincie di Pisa, Livorno Grosseto e Siena. Il piccolo borgo attorcigliato attorno a un castello sorge a 400 metri sul livello del mare, su una collina che s'inerpica quasi improvvisamente sulla vallata, tale che gli ultimi chilometri di strada sono tortuosi e ripidi. Il cosiddetto “Museo delle miniere” di Montecatini, ovvero il sito minerario aperto al pubblico è suddiviso in due: il centro di documentazione, nella parte centrale del paese, e l'area mineraria vera e propria, di cui è possibile visitare una parte.

Perché una miniera in questo luogo? Per il rame, che da tempo etrusco si vociferava giacesse in quantità apprezzabili, e che una famiglia di francesi decise di mettersi a cercare agli inizi del XIX secolo. La miniera di Montecatini, infatti, aprì i battenti nel 1827, per restare in attività 80 anni esatti. Nel 1907, infatti, i ritorni dell'attività estrattiva decaddero al di sotto della soglia minima di economicità: fu deciso di cessare i lavori, e vani furono nei decenni successivi i tentativi di riavviarli. La miniera cadde in definitivo oblìo nel 1960; sarà nel 1999 che entrerà in azione l'intento di recuperarla a fini culturali, così da aprirla alle visite del pubblico nel 2003. Nel secolo scarso di apertura l'attività mineraria ha inciso profondamente sulla vita di Montecatini, e non solo: intorno al 1860, nel momento di massima espansione, spiega Gianna Franci, l'attività coinvolgeva direttamente 200 minatori e 50 impiegati d'altro genere, mentre la popolazione complessiva saliva a 2000 persone; oggi non sono più di 500.

(30 giugno 2010)

MONTECATINI, LA MINIERA E' FATTA A SCALE

Da un punto di vista tecnico e di organizzazione del lavoro, la miniera di Montecatini val di cecina si distinse per il basso ricorso alla tecnologia. Lo scavo delle rocce era quasi del tutto manuale: armati di piccozza e attrezzi vari, mai di martelli pneumatici e raro era anche il ricorso agli esplosivi, se non per aprire nuovi fronti. Inoltre i minatori non si avvalevano mai dell'ascensione meccanica, se non nei casi di grave incidente alle gambe: in tutti gli altri casi, si saliva e si scendeva a piedi, attraverso la fitta rete di scale in galleria che da ultimo raggiungeva i 375 metri di profondità, riportando in pratica i minatori al livello..del mare. Il montacarichi unico era utilizzato solo per il trasporto in superficie dei risultati di scavo: fino al 1857 veniva azionato con un argano trainato da...un cavallo; da quell'anno invece entrò in funzione la cosiddetta Torre Alfredo (dal nome di uno dei proprietari olandesi dell'epoca), all'interno della quale veniva azionato un meccanismo a vapore, simile a quello in uso nelle locomotive. Arrivate in superficie, le pietre venivano frantumate e poi setacciate nell'attigua laveria; la polvere di rame risultante veniva temporaneamente parcheggiata in un piazzale (guardato a vista da una sentinella armata, posta all'interno di una torretta di guardia d'ispirazione medievale) e poi stoccate nella vicina Ponteginori, da cui prendevano la via di Livorno e di qui, via nave, quella delle fonderie in Gran Bretagna. Questo avvenne fino a che la stessa Livorno e Piombino non ne furono dotate, dopo il 1870.

(3 luglio 2010)

MONTECATINI, VISITA CON VISTA

La visita al pubblico attualmente possibile a Montecatini val di Cecina permette di osservare la prima galleria di discensione, ovvero la cosiddetta 'discenderia'. Ed è una visita molto suggestiva: la vista cade a picco lungo una rampa scoscesa, il cui orizzonte si perde in una vera e propria nebbia, a tratti tagliata dallo svolazzio di qualche pipistrello. Gianna Franci racconta che periodicamente un ingegnere incaricato scende tutt'oggi “laggiù”, perlomeno fino al terzo livello, per controllare la consistenza della rete di cunicoli: non può spingersi oltre poiché i livelli sottostanti sono ormai nuovamente allegati da quella falda acquifera le cui acque venivano regolarmente pompate via mentre la miniera era in funzione.

Quando era in attività, la miniera non si fermava mai: 3 turni di 8 ore al giorno per chi scendeva sottoterra, munito di un armamentario di cui era direttamente responsabile e che addirittura doveva portarsi ogni giorno da casa. Per contro, va detto che in 80 anni la miniera non ha mai conosciuto incidenti mortali, e peraltro ben contenute – rispetto ad altri siti – sembrano essere la tracce postume lasciate sui suoi protagonisti, in termini di malattie.

Inizialmente posseduta da due fratelli francesi, la miniera passò negli anni in mano olandese e russa finché, alla fine dell'800, fu fondata la Società Anonima Montecatini: più tardi questa acquisirà, come detto, la Edison, dando vita al noto marchio comune petrolchimico. Figura centrale nella storia del sito è stata quella di Aroldo Schneider, un ingegnere tedesco, il cui busto spicca all'ingresso della miniera (e dell'attuale percorso di visita): non solo per le soluzioni tecniche che egli adottò, quanto per la graduale capacità di coinvolgere la popolazione locale, per lo più contadina ed inizialmente scettica verso l'iniziativa: i primi colpi di piccozza furono dati con appena 4 operai.

La visita al sito minerario (ed al centro di documentazione) costa 5 euro, 3 per i ridotti (tariffe 2010): oltre a tutto quanto si vede 'sotto', merita anche per la splendida e smarginata visuale che si gode sulla Valdicecina dalla sommità della torre Alfredo, spaziando da Volterra, alle omonime saline, a Larderello, fino al mar tirreno nelle giornate chiare. Un'appendice' del percorso guidato che Gianna Franci e le altre guide vi concederanno..se non siete in troppi, troppo rumorosi, se saprete apprezzare il suo pacato e appassionato racconto dell'era del rame, sotto Montecatini.

(5 luglio 2010)

ABBADIA SAN SALVATORE: LA SCARICA DEI 101

Entrare oggi nel Museo minerario di Abbadia San Salvatore espone in modo forte a sentimenti contrastanti. Il cuore si stringe appena varcato il portale d'ingresso alla grande area, quando sulla sinistra si nota la lapide con i nomi dei tanti uomini (101) che qui hanno lasciato la vita. Man mano che trascorrono i minuti, cresce anche la suggestione legata al futuro dell'intero complesso: è ancora vasta la parte di stabilimento che resta da recuperare, e quindi ora inibita al pubblico. E' facile volare con la mente a quanto potrà essere affascinare osservare ciò che adesso è negato, una volta recuperato.

La suggestione più forte tuttavia arriva poco prima di metà percorso guidato, prima ancora di scendere nella miniera riadattata per le visite esterne. “Cos'è quello, e perché c'è scritto 'Sansone'?” chiede incuriosito un bambino di 7-8 anni, alla vista di un contenitore metallico simile a quelli in uso per la mungitura di vacche. Giovanni, insegnante in pensione, uno degli otto volontari (alcuni ex minatori) che si alternano da alcuni anni nel guidare i gruppi, spiega allora che quella garitta di gruppo (“Sansone era il marchio di fabbrica: non a caso, visto quanto pesava”) veniva impiegata ogni giorno per scendere dai pozzi giù in miniera le razioni di minestra o di pastasciutta per i minatori, a metà del turno di otto ore.
Resti sdegnato al sentire che “quelli più vicini al pozzo riuscivano a mangiarla calda, ma gli altri che si trovavano al fronte di sfondamento avevano bisogno dei coltelli, perché spesso la pasta arrivava fredda e aggrumata”; ma non è niente, rispetto a ciò che la guida spiega a ruota. “I guadagni dei minatori, soprattutto nei primi decenni, erano legati agli esiti delle ricerche ed alla richiesta del metallo sul mercato: non mancavano i periodi neri, e in quei tempi spesso i minatori rinunciavano a mangiare per sfamare mogli e figli, i quali all'ora del rancio si presentavano ai pozzi al posto degli uomini”.

Racconti come questi rendono l'idea della drammaticità quotidiana vissuta in miniera, in tutte come – nella fattispecie – in questa che per 90 anni (da fine '800 ai primi anni '70) è stata la fonte di sussistenza principale (e più avanti, l'unica) di Abbadia San Salvatore e del circondario. Non a caso questo Centro (inaugurato da neppure 5 anni, tra i più recenti in Italia) oggi punta molto sul racconto diretto, per caratterizzare e rendere appassionante il proprio percorso illustrativo. E non solo grazie alla presenza fisica degli ex minatori in veste di guida: sicuramente d'effetto sono i 5-6 punti ascolto sparsi lungo il percorso “sotto”, nei quali a richiesta è possibile ascoltate la voce viva (registrata) di protagonisti diretti di quel luogo, che raccontano cosa 'fanno' (la narrazione è in stile presa diretta), che rischi corrono, da dove arrivano e con quali timori; e le voci si alternano ai rumori dell'ascensore, dei vagoncini, dei martelli ad aria compressa che qui hanno risuonato a migliaia.

(12 ottobre 2009)

ABBADIA, CINABRO SOTTO IL VULCANO

Quando era in funzione, il centro minerario di Abbadia San Salvatore era davvero una città a sé. Rende bene l'idea il plastico, allestito nella prima delle sale in cui è attualmente allestita l'area museale del percorso di visita: alla vista, si ha subito la percezione di un qualcosa di mastodontico, tecnologicamente avanzato per il suo tempo. In una parola, di una grande industria, che nella fattispecie cercava il profitto nell'estrazione del cinabro, e nella sua trasformazione in mercurio. Era questa infatti la straordinaria particolarità di Abbadia: l'aver dato i crismi del processo industriale a quanto altri, già 5mila anni or sono, avevano probabilmente tentato, magari per scopi diversi, come rivelato dall'analisi carbonio 114 fatta sui cippi macchiati in rosso rinvenuti dagli archeologi nella non lontana Selvena. Il singolare giacimento di questa zona è probabilmente legato ad un'altra singolarità, ovvero la sua origine vulcanica: sopra Abbadia si erge ancora oggi il monte Amiata (1738 metri slm), vulcano spento esternamente da millenni, ma il cui calore è rimasto vivo oltre la media nel sottosuolo: così calore ed umidità nei canali di scavo erano costantemente eccezionali, e per gli operai – dispensati dal proseguire solo a 35 gradi – era una vera agonia.

(14 ottobre 2009)

ABBADIA SAN SALVATORE: ASCESA, CADUTA E FUTURO

Nel periodo di maggior fulgore, Abbadia si contendeva con una località russa il ruolo di primo produttore di questo metallo. Il mercurio era essenziale, ad esempio, per ricavare quel Fulminato di mercurio usato per detonare le bombe, almeno fino all'avvento dei meccanismi elettrici. All'epoca nel centro lavoravano fino a 2mila persone: i più sottoterra, in 3 turni al giorno di 8 ore l'uno, gli altri chi alla frantumazione delle rocce, chi alla loro asciugatura, chi alla vaporizzazione od alla trasformazione finale in gocce di mercurio. Si pensi che nel 1912 i lavoratori erano appena 200, mentre Abbadia non arrivava a 2mila abitanti: salita fino a 10mila, dopo la chiusura degli scavi si è assestata sulle 6mila unità. Una comunità fortemente coesa, quella badenga: anche perché quasi nessun minatore era 'foresto', e del resto quasi nessun badengo lavorava altrove. L'atroce fatica del sottosuolo era compensata con forniture di legname, vacanze in colonie per i bambini e tanto altro ancora: al punto che quei pochi che facevano altro in paese, finivano per sentirsi isolati.

Da fuori venivano semmai gli ingegneri minerari, per lungo tempo formati esclusivamente a Caltanissetta, nella vicina Massa Marittima o in alta Italia. E stranieri, piuttosto erano stati i fondatori: tedeschi per la precisione, fino a quando l'Italia non ruppe con la Germania durante la Grande guerra, e per il centro cominciò una gestione pubblico-privata durata a fasi alterne. Fino ai nostri giorni, con l'Eni a guidarne la chiusura, la messa in sicurezza e ora la bonifica, sottoforma di finanziamento al Comune di Abbadia che se ne è fatto ora carico, secondo il Protocollo siglato nel 2008.

(16 ottobre 2009)

CAMPRIANO, A TU PER TU CON LE ROSTE E CON LA CODA DEL DISASTRO

Entro la fine del 2009 la Syndal, controllata Eni, si è impegnata a rendere operativo il progetto di bonifica definitiva della miniera di Campiano, nel comune di Montieri. Nell'attesa, è ancora possibile andare ad osservare con i propri occhi cosa resta di un disastro che fu, agli inizi degli anni Duemila; e soprattutto di una miniera che fu. Per farlo si può coinvolgere la 75^ Avventura, la 'creatura' del funambolico Simone Negrini, che organizza escursioni di vario tipo sulle colline metallifere. Mettente in conto un'oretta, datevi appuntamento nella frazione di Boccheggiano, e poi seguitelo fin sulla soglia di quella miniera: più avanti non si può andare, il cancello – ora come allora - lascia passare solo gli addetti ai lavori, che oramai sono solo quelli dediti al contenimento dei danni. Ciò che si può vedere, dopo aver ascoltato da Simone dati e.. leggende su quanto avvenuto prima e durante il disastro, è piuttosto la confluenza tra il fiume Merse e il torrente Ribudelli; e le suggestive Roste. Queste ultime appaiono come dei curiosi scoglioni di color rosso ruggine, disseminate lungo un area di qualche centinaia di metri poco più in là dell'ingresso alla miniera, dall'altro lato della strada statale. Le roste sono il frutto dell'accumulo di residui ferrosi conseguenti alla lavorazione dei minerali, che una volta estratti venivano selezionati (per lo più da donne, anche qui) all'interno di un edificio tutt'ora presente nell'area, anche se per lo più diroccato; e poi avviati a lavorazione in un apposito forno. Qui come altrove, nel tempo le tecniche si sono evolute, ed i diversi livelli di colorazione degli strati sulle roste testimoniano proprio la diversa tipologia di residui prodotti nel tempo, divenuti più fini dalla seconda metà dell'Ottocento. L'escursione alle roste è interessante anche perché conduce per un tratto anche all'interno di un bosco – a tratti fitto – di castagni, e incuriosisce la 'caccia' ad una particolare tipologia di grillo, dal colore mimetico quando posato sulle roste.
Non meno appassionante, anche se – per certi versi – anche angosciante, l'osservazione del fiume. Proprio sotto la strada statale, in linea retta rispetto all'ingresso della miniera, la Merse s'incrocia con il Ribudelli, il torrente che da essa proviene: l'incontro, oggi, restituisce pochi metri più a valle un'acqua biancastra, frutto dell'alto contenuto di ammoniaca che oggi proviene dalla direzione della miniera, a 'coprire' ciò che resta di quelle emissioni che qualche anno fa arrivavano copiose e dannose. E' grottesco vedere come dopo la confluenza il fiume perde del tutto quel colore marroncino che peraltro ha in origine. E lo altrettanto pensare che oggi, più avanti, qualcuno ha ripreso a farci il bagno.

(15 luglio 2009)

DA CUNEO LA “BANCA DELLA MEMORIA”

E' in linea da qualche mese la Banca della memoria, un progetto nato per volontà di una società piemontese (la Memoro) e patrocinato dalla Provincia di Cuneo. Si definisce no-profit, anche se punta a generare ritorni da redistribuire tra soggetti attivi per la comunità. La banca della memoria è la possibilità di memorizzare testimonianze audio-video su fatti trascorsi di rilevanza sociale, che chiunque può caricare sul sito previa autentificazione. Chi ha qualcosa da testimoniare dunque, può farsi avanti: www.bancadellamemoria.it

(15 agosto 2008)

MONTECATINI: “IL LAVORO E LO SCHERZO”

La miniera di Caporciano a Montecatini Val di Cecina è stata protagonista di uno degli eventi più singolari dell'estate toscana 2008. Domenica 10 agosto, dopo una visita guidata ed una cena per il pubblico, è andata in scena “Balcanikaos speciale miniere – il lavoro e lo scherzo”, spettacolo della compagnia Guascone teatro diretto e interpretato da Andrea Kammerle con i musicisti klezmer della Raskornika orchestra.

(15 agosto 2008)

VAL DI CECINA, LA “VERA” MONTECATINI

Se il marchio “Montedison”, che tanto ha segnato la storia industriale (estrattiva e non solo) italiana, nasce dall'unione tra le aziende Edison e Montecatini, da dove nasce quest'ultima denominazione? I più saranno portati a pensare alla nota località termale oggi in territorio della provincia di Pistoia, e da tempo nota con il più completo nome di Montecatini terme.
In realtà non è così: il territorio di origine è piuttosto quello della provincia di Pisa, ed in particolare del comune di Montecatini val di Cecina. E' qui che nel 1888 fu costituita la società Montecatini, nel solco di una tradizione estrattiva avviata dagli Etruschi, proseguita dai Medici e poi sotto il Granducato di Toscana, per poi cessare sotto il Regno d'Italia nel 1907.
L'epoca della Montecatini corrisponde ance a quella di maggior intensità per l'attività mineraria in questa zona, che beneficiò in quella fase di alcune importanti conquiste raggiunte non molti anni prima nella tutela dei lavoratori. A metà del XIX secolo infatti Montecatini val di Cecina introdusse una regolamentazione del lavoro minorile, prevedendo anche forme di assistenza per le vedove e gli orfani dei minatori, introducendo l'insegnamento obbligatorio per i figli dei minatori una cassa mutua. Miniera principale della zona fu quella di Caporciano, che si rivelò per un certo periodo la miniera europea più ricca di rame; in Val di Cecina tuttavia si estraevano in quantità anche salgemma, alabastro, lignite e si sfruttarono le sorgenti sulfuree.
Oggi la memoria di quell'epoca è affidata principalmente al Palazzo Pretorio di Montecatini V.C. Ed al suo Museo delle Miniere, che ospita un Centro di documentazione sulle vicende del tempo, con l'archivio storico di tutte le attività compiute tra il 1827 ed il 1907. In mostra anche un ricco campionario di minerali. Per gli interessati è possibile visitare il sito di Caporciano, articolato in un pozzo principale (“Alfredo”), il circuito di gallerie e la diga del Muraglione. A richiesta si organizzano anche laboratori didattici per bambini. Info: Coop Viaggi Antico (link a www.viaggioantico.com).

(15 agosto 2008)

CON LA DIANA SENESE A 'CACCIA' D'ACQUA

Non solo la dea greca della cacciagione. La Diana, secondo la leggenda, doveva essere un fiume che percorreva il sottosuolo di una buona parte del cuore della città di Siena. Di quel fiume ad oggi nessuno ha effettivamente mai trovato sicura traccia; in compenso, in suo nome da 15 anni è sorto nella stessa città un sodalizio, sottoforma di associazione culturale, dedita al recupero ed alla valorizzazione dei misteri del sottosuolo. Alla Diana si deve infatti una costante opera di indagine e divulgazione, incentrata in primo luogo sulla città sotterranea senese (i “Bottini”), ma anche sul recupero di alcuni siti degni d'interesse andati in disuso con il tempo. E' il caso in particolare di una “Fonte delle monache”, tramite la quale un convento di clausura si approvvigionava d'acqua nei secoli passati fino a metà XIX secolo. Caduta in disgrazia e ricoperta dal fango, la Fonte è stata recuperata solo alcuni anni fa grazie al caparbio impegno dei volontari. In passato la Diana ha curato anche la mappatura del “Canale del Granduca”, realizzato all'epoca del Granducato di Toscana in località Pian del Lago, non lontano dalla città. Attualmente, è impegnata soprattutto nella sensibilizzazione delle nuove generazioni sul tema “Siena e l'acqua”: una quindicina di classi delle elementari senesi sono protagoniste ogni anni di alcune lezioni illustrative e poi di un'appassionante gita sotto la città.

(11 giugno 2008)

FRANCESCO, VENT'ANNI INGHIOTTITI

Non era piccolo come Ciccio e Tore, non ha agonizzato a lungo come Alfredo Rampi. Tuttavia, il loro destino li accomuna. E stato inghiottito da una polla di acqua sulfurea, in cui era entrato per fare uno di quei bagni notturni che, a quell'età, è quasi normale fare. Così è morto atrocemente, sottoterra, Francesco, un ragazzo di 20 anni di Arezzo. E accaduto vicino Siena, alla sorgente dell'Acqua borra, laddove il paesaggio urbano lascia splendido spazio alla campagna del sud senese. Ai vigili del fuoco ci sono voluti tre giorni per ritrovare il corpo, dopo estenuanti e pericolose ricerche tra miasmi sulfurei.

(10 maggio 2008)

SEDUN, UN'ASCENSORE PER LO SLALOM

Incunearsi nella montagna per ritrovarsi a...sciare. E' l'avveniristico concetto che sta alla base de progetto “”Porta alpina”, che da alcuni anni vivacizza il dibattito di quattro cantoni della Repubblica Svizzera. L'idea è quella di sfruttare le gallerie costruite all'interno delle Alpi svizzere per la realizzazione, e l'areazione, del tunnel ferroviario del Gottardo, il più lungo del mondo (57 km, attualmente in costruzione). In perpendicolo al villaggio montano di Sedun (link a http://www.sedrundisentis.ch/ ), un'ascensore collocato all'interno delle gallerie dovrebbe poter permettere di ritrovarsi rapidamente in quota, evitando così il ricorso a mezzi di superficie (auto, bus) per percorrere i tornanti che attualmente conducono alla stazione sciistica. La popolazione locale (cantone Grigioni) si è pronunciata nel 2006 con un referendum, appoggiando a maggioranza il progetto (72 per cento di sì). Al di là di alcune perplessità ambientali, che continuano a resistere attorno al progetto, mancano soprattutto i soldi: circa 30 milioni di euro. Lo scorso anno la Confederazione elvetica e le Ferrovie hanno dissipato le precedenti aperture in tal senso. I promotori del progetto (link a http://www.visiun-porta-alpina.ch), tuttavia, hanno annunciato a marzo di quest'anno di aver raccolto la disponibilità di altri investitori.

(10 maggio 2008)

LO SCOPRIMINIERA DI PRALI

Il nome è suggestivo: “Scopriminiera” (link a http://www.scopriminiera.it) . Si chiama così il progetto di conservazione e valorizzazione di una storia datata due secoli. E' quella dell'estrazione di talco nelle “miniere bianche” di Prali, Vale germanasca, alto Piemonte. Si racconta che a lungo gli abitanti della zona abbiano lavorato sottoterra, 12 ore al giorno, per estrarre rame, grafite, talco. La miniera era la fonte di ricchezza quasi esclusiva, per loro. Le condizioni in cui lavoravano erano proibitive, spesso procedevano per i cunicoli carponi, al buio o con torce che bruciavano l’ossigeno e rendevano l’aria irrespirabile. Quel duro vivere è accuratamente rievocato oggi con lo “Scopriminiera”, un itinerario di visita che si avvale di appositi vagoncini per la visita sotterranea, e che si estende fino ad un apposito museo. Disponibili anche una sala video, l’Archivio Storico delle Miniere e i laboratori per attività didattiche, oltre a “Il Ristoro del Minatore”, bar ristorante. Gli itinerari sono di varia durata, da quello più breve di 2 ore fino ad un programma di un'intera giornata. In rete c'è chi testimonia di una visita da ricordare (link a http://ilricciolo.blogspot.com/2007/08/consigli-per-una-gita-le-miniere-di.html ).
Non avremmo detto tutto delle miniere di talco di Prali, tuttavia, se non specificassimo che esse sono ancora attive. Tutt'oggi vi estrae talco la “Luzenac val Chisone”, branchia locale di una multinazionale, la Luzenac link a http://www.luzenac.com) attiva anche ad Orani, in Sardegna, dove il talco è estratto a cielo aperto. Il processo produttivo, certificato Iso 9002, fa sì che all'ingresso del sito estrattivo sia esposto il referto degli infortuni in miniera: nel 2007 (vedi la foto nelle immagini) uno ciascuno per sito.
Attualmente le sorti della miniera del Valchisone non sono chiare: ad inizio 2008 hanno iniziato a circolare ipotesi di dismissione del sito, conseguenti all'acquisto del 12 per cento del capitale della Rio tinto (azionista di maggioranza della Luzenac) da parte dei cinesi della Chinalco, ed all'opa “ostile” sulla stessa società da parte della BHP billiton.

(22 aprile 2008)

MINIERE DI MURLO, CAMMINANDO SUI BINARI INVISIBILI

Val Crevole, comune di Murlo, provincia di Siena. Se cerchi le miniere, nella località poco fuori paese che ne prende il nome, non t'illudere: non ne trovi più traccia, così come nulla più rinvieni della ferrovia che fino al secondo Dopoguerra qui trasportava vagoncini di lignite estratta. Ma se cerchi, o ti accontenti, di un'occasione per una buon trekking non impegnativo, allora può valer la pena. Siamo nel bel mezzo della campagna senese, qualche km a valle di un paese oggi sede di un piccolo ma significativo museo etrusco, e di una comunità studiata ani fa come caso raro di continuità genetica nei millenni. Qua sotto la lignite si estraeva a partire dal 1828, e quarant'anni più tardi furono impiantati due binari di raccordo con la stazione di Monte antico, oggi capolinea di un rievocativo treno natura (talvolta a vapore). Il tutto cessò attorno al 1940; oggi dei “buchi” nel terreno non rimane nulla di visibile al passante, ma il percorso pedestre – che si snoda per 5 km circa, fino alla località la Befa, senza eccessive asperità o pendenze – è l'occasione per toccare con mano gli echi di quell'epoca, ma anche delle ere geologiche precedenti. Tratti ricchi di “diaspri”, frammenti più o meno piccoli e scuri di rocce segnate dalle pressioni subite sul fondo della Tetide, l'oceano che qui si estendeva circa 100 milioni di anni fa. E poi arenarie, che assumono una friabilità che pare sabbia nel tratto finale del percorso. Tra ex ponti di sostegno alla ferrovia (suggestivo il “ponte nero”, oggi sostituito da una struttura metallica traforata che dà l'idea di sospensione nel vuoto) e tratti boscosi, si costeggia lungo il suo corso il torrente Crevole; un'ora di piacevole camminata specie se con tempo discreto, come può capitare in primavera. All'arrivo ristoro frugale e contadino all'Osteria la Befa; per il ritorno, possibile diversione in mezzo ai più fitti boschi delle colline di rimpetto.

(4 febbraio 2008)

IN MEMORIA DI CICCIO E TORE

Due bambini scomparsi, stremati, sfiniti alla morte. Un padre, forse, in galera per niente. Giustizia erronea e ricerche inefficaci. Da Gravina di Puglia, dal suo sottosuolo o meglio da quella maledetta cisterna, questa settimana, è affiorata una storia più brutta di quanto immaginabile. Ciccio e Tore non ci sono più, due piccole anime si aggiungono alle tante vittime dei sotterranei. Che riposino in pace, e che nessuno faccia più la loro fine.

(1 marzo 2008)

NAPOLI SOTTO, UN GATTO A SEI VITE

Sotto Napoli si trovano almeno sei tipologie di sotterraneo, ognuna realizzata nel tempo per una diversa e specifica esigenza: acquedotti, cisterne pluviali, cave di tufo, cave di materiali incoerenti, galerie di comunicazione e perfino luoghi di culto. Lo ricostruisce in modo mirabile Napoli undergound, vera miniera di informazioni sulle cavità partenopee, e non solo. Merita più di na visita: www.napoliunderground.org.
(1 marzo 2008)

MASSA MARITTIMA: ECCO L'ARCHIVIO EDISON

Miniere – dagli archivi della memoria al Futuro possibile” il titolo della giornata promossa per il 29 febbraio 2008 dal Parco Archeologico delle Colline Metallifere a Massa Marittima (Gr). Evento predominante sarà la presentazione dall'archivio fotografico Edison, oltre 4200 immagini catalogate digitalizzate e da questa data destinate ad arricchire il patrimonio storico del Parco. A solennizzare l'evento interverranno dalle ore 9 della mattina tutte le maggiori istituzioni locali, a cominciare dal Presidente del Parco Hubert Corsi, e dal direttore generale Beni Culturali per la toscana, Mario Augusto Lolli Ghetti. Nella seconda parte della mattinata si terrà una tavola rotonda dal titolo “Verso un polo per le energie da fonti rinnovabili”: interverranno i vertici di Edison, Nuova Solmine e Scarlino Energia, concluderà l'Assessore regionale all'Ambiente Annarita Bramerini. Nel pomeriggio, dalle 15, una carrellata di esperienze a confronto nella valorizzazione del patrimonio minerario: testimonianze dirette dala Centro ricerca Romagna mineraria, da Calceranica al lago (Tn), Montecatini val di Cecina (PI), dal parco geominerario della Sardegna, dalla Marche Alpi apuane ed isola d'Elba. Durante tutta la giornata apposite postazioni multimediali renderanno consultabile l'archivio fotografico.
Per ulteriori info, scrivere a parcominerario@provincia.grosseto.it

(19 febbraio 2008)

SOTTO NAPOLI, SEGUENDO IL MUNACIELLO

In questi tempi di emergenza rifiuti, a volte viene da pensare che forse la parte più sana di Napoli è rimasto proprio quella “sotto”. Non è propriamente così, ma è certo che quella sotterranea è una partenope ricca di suggestione, ignota ai più che visitano la città (e forse anche a molti napoletani?) e sicuramente meritoria di almeno una visita. I punti di “immersione” sono molteplici: ce n'è uno immediatamente di fianco a piazza Plebiscito, con ingresso dal retro di un famoso caffé (il Gambrinus); un'altra da piazza San Gaetano, un'altra ancora in rione Sanità. L'anticamera di quest'ultima è un ambiente in cui fanno bella mostra alcuni reperti di epoca romana, compresa la riproduzione di una tomba.
Poi, s'inizia a scendere: colpisce la vastità degli ambienti sottostanti, ricavati nei secoli di maggior espansione del centro storico, quando il tufo prelevato “sotto” veniva impiegato per costruire palazzi “sopra”. Quegli stessi edifici che, una volta in funzione, attingevano a basso l'acqua necessaria per tutti gli usi domestici. Al corretto funzionamento di questo meccanismo di approvvigionamento erano deputati suggestivi personaggi, i cosiddetti “munacielli” che, oltre a verificare lo scorrimento e la limpidezza delle acque, non disdegnavano di salire in “quota”, attraverso appositi scalini scavati nelle pareti verticali di tufo, per andare ad ispezionare presunti “guasti” all'interno delle abitazioni. Le richieste di soccorso arrivavano perlopiù dalle donne di casa, ben più assidue dei loro mariti nella frequentazione del focolare casalingo: succedeva talvolta che il soggiorno del munaciello andasse oltre la riparazione del guasto...e quando dopo un po' di mesi compariva nel quartiere una gravidanza inattesa si diceva che “sarà stat'o munaciell'”.
La parte più suggestiva dei sotterranei napoletani è probabilmente la visione dei segni lasciati all'epoca dei rifugi. Durante la seconda guerra mondiale infatti questi ambienti sotterranei svolsero in modo straordinario la funzione di salvataggio per migliaia di napoletani, durante i bombardamenti: durante quelle lunghe giornate o nottate, là sotto si faceva di tutto: matrimoni, concepimenti, sante messe... sulle pareti dei sotterranei ci si imbatte così in dichiarazioni d'amore o nella formazione completa della nazionale di calcio dell'epoca, con tanto di disposizione in campo; nonché in disgraziate odi al Duce, ed alle sue illusorie mire. Curioso notare come i gabinetti fossero stati posizionati in serie immediatamente al termine delle scale di ingresso: si dice (e non si dubita) infatti che chi scendeva qua sotto dopo un'allarme antiaereo avesse impellenti bisogni fisiologici.

Maggiori informazioni: Ass.ne Napoli sotterranea – www.napolisotterranea.com.

(25 febbraio 2008)

SOFFI DA SOTTO A MONTEROTONDO

La presenza di Monterotondo marittimo all'interno del Parco Tecnologico e Archeologico delle colline metallifere è legata ad un attività atipica, e che resta tutt'oggi viva: è quella geotermica, alimentata dai soffioni boraciferi presenti nel territorio del comune che fu dello scrittore Renato Fucini. I “soffi” del passato hanno gradualmente segnato il territorio, ad esempio dando vita ai cosiddetti “lagoni” di cui il principale è il lago boracifero.

(13 febbraio 2008)

E A SCARLINO RESTANO I “CAMINI”

L'attività chimica che si avvalse e moltiplicò l'attività estrattiva nelle Colline Metallifere è ancora oggi l'imponente elemento che caratterizza l'immediato entroterra nel comune di Scarlino, anche se il minerale in zona non si estrae più. A Scarlino restano in piena attività le ciminiere bianche e rosse che si stagliano alte nel cielo a pochi chilometri dal mare, s”sfiati” dell'attività industriale contemporanea targata Nuova Solmine; e che “chiamano” idealmente in causa le analoghe costruzioni tutt'ora in essere a Riotorto (centrale termoelettrica) e Piombino (industria siderurgica) in provincia di Livorno.

(13 febbraio 2008)

COLTIVAZIONI SOTTERRANEE: DAL MINERALE ALLA LATTUGA

Coltivare il minerale”: ecco un'espressione sottratta dal gergo industriale a quello agricolo, per descrivere una delle tipiche attività compiute nel sottosuolo. Ma proprio là “sotto” quel termine sembra tornare in Giappone, nelle sue originarie vesti. Da qualche tempo a Tokio infatti è partita la sperimentazione delle fattorie sotterranee, ambienti nei quali le condizioni proprizie per la coltivazione di frutta, verdura o cereali vengono ricreate artificialmente. A cominciare dalla sostituzione del sole, che ne sottosuolo proprio non può arrivare. Succede in particolare all'interno di un piano sotterraneo del Nomura building, uno dei numerosi e svettanti edifici della city finanziaria giapponese. La fattoria in particolare si chiama Pasona O2, “costola” dell'omonima società di consulenza nelle risorse umane amministrata da tal Yasujuki Tambu, che è anche l'ideatore della fattoria. Led fluorescenti gialli e blu, diffusori spray di fertilizzanti, software per automatizzare la variazione delle condizioni climatiche: questi ed altri ritrovati tecnologici concorrono alla crescita sotterranea di pomodori, riso, lattuga. La particolarità aggiuntiva che la fattoria non lavora tanto per l'autoconsumo, quanto per il coivolgimento di studenti, pensionati o professionisti trendy, che tra un impegno e l'altro possono fare un salto ad accudire le proprie piantine. E, volendo, farsi anche uno spuntino al punto ristoro interno. Che, si racconta, cucina piatti a base di ingredienti sotterraei.

(17 febbraio 2008)

IL 2007 DI CHI E' RIMASTO SOTTO

Il 2007 va in archivio come anno tutt'altro che indolore, per i lavoratori del sottosuolo. Se in Italia non si sono rilevati incidenti mortali, non così può dirsi per il resto del mondo. Drammatiche in particolare le vicende di Cina e Stati uniti, dove hanno perso la vita numerosi minatori. In Cina in particolare si ricordano il dramma di inizio autunno, con l'allagamento di una miniera, quello del 4 dicembre nella provincia di Shanxi con 105 vittime di un sito di estrazione illegale del carbone. Le vittime si sono contate in Cina fino al 31 dicembre, quando 19 persone sono morte a seguito dell'esplosione di un'altra miniera di carbone, nella provincia Helonhjang. Negli Stati uniti ha fatto scalpore l'episodio di agosto: sei uomini, in seguito ad una frana nella miniera di carbone di Hungtinton (Utah), restano bloccati in un anfratto a 450 metri di profondità, dal quale usciranno solo cadaveri. La vicenda negli Stati uniti desta particolare impressione anche perché si trascina per diversi giorni, in cui vari tentativi di salvataggio finiscono uno dopo l'altro a vuoto, tra la rabbia dei familiari esacerbata dai ripetuti ammonimenti andati a voto (il sito minerario era stato in passato multato ben 300 volte per violazione delle norme di sicurezza).
Diversa la sorte dei 300 minatori sudafricani, che in ottobre restano intrappolati per 40 ore in un sito posto un chilometro sotto la superficie: la lotta contro il tempo è in questo caso più fortunata, e tutti i malcapitati escono vivi da una vicenda che, di lì a poco (il 4 dicembre) contribuirà a riportare i 240mila lavoratori del settore in sciopero, per rivendicare migliori condizioni di lavoro, visto che alla data dello sciopero si contavano in 180 le vittime del settore (nel 2006 erano state 200) in un paese che è cruciale per il consumo mondiale di oro, platino ed altri metalli. Quelle stesse salvaguardie che sicuramente mancano ancora a tanti altri minatori sparsi per il mondo, soprattutto se particolarmente giovani: è il caso dei minatori-bambini ancora a lavoro per dieci ore al giorno in Kirghizistan, repubblica caucasica al confine con la Cina, come ha documentato un reportage della Bbc lo scorso agosto.

(10 febraio 2008)

MONTIERI OGGI: COSA VISITARE

Il Parco archeominerario di Montieri è sede oggi di alcune interessanti opportunità di visita, rese possibili grazie alla Regione Toscana- progetto toscana undeground, al Comune ed all'Associazione OCCXAM. In primo luogo una visita guidata al borgo, ed ai luoghi di rinvenimento del c.d. “Breve di Montieri”. Poi, l'itinerario con partenza dalla porta dell'area di Boccheggiano: costeggiando il Merse si osservano resti degli impianti di estrazione e lavorazione del minerale, fino alle gallerie di scolo. A Poggio Mutti, nei pressi di Gerfalco, sotto osservazione le coltivazioni minerarie di rame piombo e argenti. Maggiori dettagli sui luoghi e sulla storia sono disponibili sul sito dell'associazione (www.occxam.it), arricchito dalle testimonianze storiche del prof. Giuseppe Vatti e dalla tesi di laurea di Giuseppe Cellini.
Per info: Ufficio turistico Montieri – 0566 997024 turismomontieri@tiscali.it.

(30 gennaio 2008)

MONTIERI NELLA STORIA: DAL FERRO AL GEOTERMICO

Nei secoli, l'estrazione di rame, ferro, piombo e argento ha profondamente modificato il paesaggio locale, sotto lo “”sguardo” dei castelli minerari di Montieri e dei limitrofi Gerfalco, Boccheggiano e Travale che durante il medioevo fungevano da sentinelle per l'attività estrattiva.
L'esistenza di una fonderia per il ferro lungo il Fiume Merse si fa risalire al XVI secolo tramite la testimonianza di Vanoccio Biringuccio. da lui stesso gestita. Nel XVII il geologo veneto Giovanni Arduino costruisce fonderie per il rame e vetriolo presso un affluente del Merse. Dopo la fine dell'attività estrattiva del rame, si è cominciato ad estrarre la pirite in varie miniere tra cui la Miniera di Campiano, fino al crollo dell'industria chimica. Oggi dal sottosuolo viene attinta unicamente l'energia geotermica nei pressi di Travale. Per Montieri ciò ha significato il brusco ridimensionamento delle opportunità occupazionali e, quindi, della popolazione passata dai 3300 abitanti del 1965 ai poco più di mille di 40 anni dopo.

(26 gennaio 2008)

martedì 17 gennaio 2012

2007 UN FIUME PIU' SERENO

Ci vorranno alcuni anni perché non solo la Merse riacquisti il suo naturale aspetto, ma soprattutto perché la popolazione (residente, ma anche turistica) si convinca che l'ex miniera sia tornata sotto controllo, e l'habitat circostante sotto controllo. Nella primavera 2007 la Regione Toscana dichiara del tutto priva di rischi la balneabilità, anche se la parola fine sul caso sembra ancora lontana dall'essere scritta. Resta aperta l'inchiesta giudiziaria, a dispetto di una richiesta di archiviazione del caso rigettata nel 2007; resta in corso il lavoro di bonifica, cui se non altro Regione ed Eni sembrano finalmente collaborare dopo faticoso accordo. Con la chiusura delle estrazioni nel '94 a Boccheggiano le miniere hanno chiuso un capitolo basilare della loro storia, ma non ancora quello definitivo.

(19 gennaio 2008)

2001, IL MERSE COLORATO IN ROSSO

Un miniera chiusa con troppa fretta? Poca perizia nel tamponare le “ferite” nel sottosuolo? Difficile a dirsi in modo definitivo. Fatto è che se il 2001 è universalmente passato alla storia per i fatti d'America in data 11 settembre, da queste parte resta impresso anche per un altro dramma, che non miete vittime ma scatena preoccupazione: quello del fiume Merse. Il corso d'acqua che attraversa le provincie di Siena e Grosseto un bel giorno di primavera comincia a perdere il suo in-colore naturale, per assumerne uno rossastro, d'ignota origine e soprattutto ben più sinistro del consueto. Come l'Arbia di Dantesca memoria, il fiume improvvisamente non appare più lui, e si scoprirà presto perché.
Abbandonata e dimenticata seppur dopo pochi anni, la miniera di pirite sembra volersi d'improvviso vendicare, e prende a ributtare parte dei materiali stivati sine die al suo interno. Quale miniera? Quella di Campriano, 35 chilometri di gallerie, attiva già in epoca etrusca e, da ultimo, dai primi anni '70 fino al 1994, quando il suo scavo in dismissione viene colmato con polveri provenienti dall'area industriale della vicina Scarlino. La chiusura della miniera negli anni successivi significa anche lo stop alle estrazioni periodiche di acqua dal sottosuolo. Acque che gradualmente allagano i vuoi residui della miniera fino a non poterne più, e traboccare in prossimità del cosiddetto “Fosso Ribudelli”. Portano con sé, al ritmo di 14 litri al secondo, solfuro di ferro, arsenico e chissà cos'altro.
L'allarme è ben presto generale, del caso s'interessano media di tutto il mondo, la balneazione ne fiume viene precipitosamente vietata mentre le istituzioni, dopo vane intimazioni di intervento emesse nei confronti degli ultimi proprietari-utilizzatori della miniera (S.M. Campriano, poi Syndal-Eni) allestiscono interventi di emergenza per interrompere il malefico gettito. Su tutti un depuratore provvisorio, chiamato ad abbattere il grosso dei metalli pesanti fuoriusciti.

(13 gennaio 2008)

UN BORGO E LE SUE ROSTE

A Boccheggiano era attiva la società Montecatini, fondata nell'omonima località della Val di cecina nel 1888, ed erede a Boccheggiano di un'attività estrattiva che nel XIX secolo si era concentrata sul Rame. A seguire dunque, nel '900 la pirite fu l'oggetto delle estrazioni, utili per alimentare l'industria chimica che, sotto la guida del livornese Guido Donegani, stava conoscendo sviluppi esponenziali, sottraendo l'Italia dalla dipendenza esterna in materia (soprattutto verso la Germania) e moltiplicando gli occupati (3200 nel 1930, 4500 dieci anni dopo). A Boccheggiano le estrazioni di pirite si protrarranno fino agli anni '80: c'erano quattro pozzi, che attiravano lavoratori da tutti i comuni contermini, ed in particolare proprio da Montieri. Oggi le tracce più evidenti di quel periodo sono costituite dalle “Roste”, ovvero gli accumuli di materiale ferroso risultante dal procedimento di arrostitura del minerale, necessario per estrarre la pirite. Altre tracce sono disseminate in quasi ogni casa abitata da discendenti o reduci di quell'epoca, nel comune di Montieri: pietre-souvenir, lampade, tesserini. E magari un respiro affannoso che procede ancora, a volte a stento, al ritmo della vita.
Ma una traccia vistosa, quanto clamorosa, è emersa improvvisamente all'inizio del terzo millennio in corrispondenza dell'ultima miniera chiusa in ordine di tempo, dopo il crollo della domanda di acido solforico, e quindi dell'industria chimica (1994): la miniera di Campriano.

(13 gennaio 2008)

DAL RAME ALLA PIRITE

Attorno a Montieri è stato individuato oggi l'omonimo Parco Archeominerario, comprendente anche il territorio del comune di Boccheggiano ed a sua volta parte del Parco tecnologico e archeologico delle Colline Metallifere. Mons aeris, dal latino “monte del rame”, è citato per la prima volta nel Breve, forma di Statuto (il più antico rinvenuto in Italia?) risalente al 1219 e ad oggi unico esemplare di documento dell'epoca scritto in volgare (l'originale è conservato a Volterra). Sul Poggio di Montieri in antichità furono numerosi i pozzi di estrazione, dai quali gli uomini esumavano piombo, ferro, ma anche argento e appunto rame. L'attività andò scemando dopo il XIII secolo, ma ancora nel XVI e XVII erano attive fonderie in zona. Tracce della fase mineraria più antica per questo territorio sono visibili in particolare sul Poggio Mutti, nella frazione di Gerfalco.
La storia mineraria più recente riguarda soprattutto Boccheggiano. Ed è lì che oggi ha sede la ricostruzione museale.

(9 gennaio 2008)

LE ALTRE METALLIFERE: MONTIERI

Per il sud delle Toscana lo sfruttamento, la ricchezza ma anche la disgrazia legate al sottosuolo non riportano solo al Monte Amiata. Gavorrano ci ha già fatto scoprire le c.d. Colline Metallifere: è tempo di percorrerle più a fondo. E' tempo di rievocare l'era dell'argento, del rame e della pirite attorno al fiume Merse.

(4 gennaio 2008)

LE BRACCIA DOPO IL BUIO

Non dimenticherò mai quegli abbracci con i compagni quando mi tirarono fuori”
ricordo di Paolo Contorni, salvato dopo 18 ore bloccato da una frana, raccolto da National geographic Italia, maggio 2007.

(4 gennaio 2008)

LE MEMORIE DELL'AMIATA

Cadute nell'oblio, solo dopo più di un decennio le miniere del monte Amiata hanno ripreso un percorso volto a render loro giustizia nell'alveo della memoria storica. E' sul finire degli anni '80 che il comune di Abbadia (sindaco Giorgio Sbrilli) decide di procedere alla bonifica dei siti, finalizzata al recupero in funzione museale. Con l'inizio del nuovo millennio il percorso espositivo diventa parzialmente fruibile. Un accordo sancito nel luglio 2007 tra Comune e Eni (ultima proprietaria dei siti) per il recupero di altri 65 edifici e 7 ettari di terreno (stima economia: 18 milioni di euro) lascia sperare che per il 2015 l'intera area possa diventare nuovamente patrimonio della comunità, con la possibilità di visitare a piedi o in bicicletta buona parte delle gallerie e l'area dei forni in cui il cinabro veniva trasformato in mercurio.

(31 dicembre 2007)

OTTANTA ANNI DI MINIERE AMIATINE

La Società Anonima Monte Amiata viene fondata nel 1897. Il capitale è sostanzialmente di origine tedesca, e così i suoi dirigenti. E' merito tuttavia di un rabdomante locale, Enrico Serdini, se dopo anni di vane ricerche, il direttore Friedrich Amman riesce finalmente ad imbattersi in una vena di cinabro. E' quello l'inizio di un'era di mastodontica espansione, durate la quale vengono costruiti non solo forni, edifici, bacini artificiali, ma anche case, per le migliaia di minatori che nel periodo di massimo fulgore lavoreranno contemporaneamente nelle miniere; un ospedale per curarli, perfino uno stabilimento termale a loro dedicato.
La salute, del resto, diverrà col tempo un risvolto negativo pesante dell'era mercuriale sull'Amiata. Tra apertura e chiusura delle miniere i morti saranno 61, ma numerosi saranno i colleghi perseguitati dalla silicosi o dall'idrargirismo. La discesa della china, per le miniere amiatine, comincia dopo la 2^ guerra mondiale. Nel 1959, contro le prime minacce concrete di chiusura, 200 minatori occupano le gallerie per 24 giorni, uscendone poi malfermi e semiciechi. La decrescita della domanda, e la maggior consapevolezza degli effetti collaterali per la salute, determina il declino definitivo all'inizio degli anni '70. Solo la miniera del Siele, restò aperta fino al 1976.

(28 dicembre 2007)

AMIATA: IL MERCURIO SOTTO IL VULCANO

C'era una volta un vulcano, a metà della penisola italiana. Cessata nel tempo la sua produzione lavica, quel vulcano divenne col trascorrere dei millenni un più semplice monte, non privo tuttavia di tracce singolari del suo travagliato passato. Una di queste era il cinabro, minerale che l'uomo nel tempo ha imparato ad utilizzare per ricavare mercurio: c'era 5mila anni fa, secondo la ricostruzione geologica compiuta nel 1998 tramite radiocarbonio su alcune mazze di quercia rinvenute in zona all'inizio del secolo scorso, e testimonianza di un'attività estrattiva. E c'era ancora, pochi decenni orsono, protagonista per la comunità della zona di un epopea durata un secolo scarso tra l'avvio, l'ascesa e il declino.
Quel vulcano, oggi monte, è l'Amiata: 1738 metri s.l.m., segna singolar confine tra le attuali province di Siena e Grosseto, condiviso tra i comuni di Arcidosso, Casteldelpiano, Piancastagnaio, Abbadia San Salvatore. Confini amministrativi inesistenti all'epoca degli Etruschi, che alla caccia del mercurio amiatino si misero per ricavare un colorante, né in epoca medicea, quando ne facevano alchimie. E così neppure nella seconda metà dell'ottocento, quando la Società Monte Amiata, capitale interamente tedesco, si decise a firmare l'ultima campagna estrattiva in ordine di tempo.

(26 dicembre 2007)

IL REGNO ATTUALE DELLE DUE SARDEGNE

La Sardegna ha mille facce, mille volti e mille culture. Dovendo schematizzare, oggi potremmo dire che ne sono rimasti solo due. Quella smeraldina, finta, opulenta, di gente che gode di questo benessere che non si sa dove arriva e l'altra Sardegna, quella della gente che è disposta, per vivere, a entrare nel sottosuolo. Quella è la Sardegna in cui mi riconosco, quella più tragica e disperata”.
Salvatore Niffoi, La Repubblica del 25/02/07.

(22 dicembre 2007)

NEL VISO DI QUESTI UOMINI

tu non puoi senza dolore guardare nel viso di questi uomini quando salgono un poco alla luce: se non li hai visti ancora, avrai certo sentito parlarne, come rapidamente periscano e quanta parte di vita essi perdono ogni giorno dentro la terra in quella fatica sepolta, dove la dura miseria li spinge”.
Lucrezio, De Rerum Natura 

(22 dicembre 2007) 

EFISIO, IN MINIERA SENZA BICI

Chissà quanti chilometri avrà percorso nella sua vita Efisio Putzu di Guspini, che ogni giorno dal lunedì al sabato, a piedi, raggiungeva il cantiere di Piccalina, un pozzo della miniera di Montevecchio. Come lui altre decine di operai di Guspini, Arbus, favevano anche loro molti chilometri per raggiungere i cantieri di Montevecchio e di Ingurtosu presso iquali prestavan la loro opera. I trasporti degli operai non esistevano ancora Altre decine, per non dire centinaia, usavano la bicicletta, ma quel numero si assottigliava sempre di più, durante la guerra, per l'assenza dei pezzi di ricambio”.
Daverio Giovannetti, Racconti di Miniera, 2003.

(22 dicembre 2007)

DOPOMINIERA, APERITIVO CON GATTO

Il tempo libero dei minatori era spesso ben poca cosa, più o meno risicata in dipendenza della lontananza dal posto di lavoro. Ciononostante, c'era chi non mancava di sgranchirsi anche sono per mezz'ora a fine turno, magari in qualche ritrovo pubblico. Ad Iglesias per esempio negli anni '50 erano molto diffuse le 'cantine' o 'magazzini': luoghi di incontro briosi e rumorosi, il cui coune denominatore era il vino del posto 'mesciuto' quasi sempre da una oste-donna. Spesso i commensali accompagnavano i brindisi con qualche “spuntino' preparato e portato da casa: ebbene in quegli anni molto spesso quei pacchettini nascondevano carne di gatto, il cui consumo in cantina era occasione di conversazione con i conoscenti che iniziavano a indagare sui modi di cattura e di..cottura.

(22 dicembre 2007)

MINIERISTI VISTI DAI CAMPI

Dai braccianti delle campagne i minatori erano chiamati i 'mineristi', avvantaggiati da una paga sicura dagli assegni familiari, la pensione e quant'altro. Tutte garanzie che i lavoratori delle campagne non sempre ottenevan. La durezza del lavoro non era tenuta n conto anche perché il lavoro non era meno pesante, seppure all'aria aperta, ma privo delle stesse garanzie dei 'minieristi'.
Daverio Giovannetti, Racconti di Miniera, 2003.

(20 dicembre 2007)

SE AVESSI SAPUTO

Se avessi saputo in che cosa consisteva la vita di miniera, avrei fatto cento anni di latitanza piuttosto che consegnarmi a quel lavoro”.
Frase scritta su uno dei Murales di Orgosolo (Nu).

(20 dicembre 2007)

BATTISTA E I GIOVANI DI OGGI

Spesso sento vecchi lavoratori oggi pensionati, redarguire i giovani perché incuranti delle conquiste ottenute. Molti non sanno cosa sono costati quei risultati che oggi consentono il diritto di assemblea nei cantieri, la rappresentanza aziendale, l diritto all'assistenza malattia o infortunistica. Per questi risultati si sono battuti uomini come Battista Fallo, considerato di scarpe grosse e cervello fino. Egli aveva imparato a leggere attraverso la lettura dell'Unità, e di questo si faceva vanto”.
Daverio Giovannetti, Racconti di Miniera, 2003.

(20 dicembre 2007)

NURAXI FIGUS, DOVE CI SI 'CALA' ANCORA

Tenere a mente il passato minerario, a Carbonia, è relativamente più facile che altrove. A differenza di qualsiasi altra località italiana, dove l'attività estrattiva è stata consegnata alla storia, qui essa prosegue ancora. Pochi chilometri a nord in direzione Iglesias, nei pressi del primo sito minerario storicamente sfruttato da queste parti (Bacu Abbis, nel 1800), è tangibile e visibile anche a buona distanza la Carbosulcis, ovvero quella che è ancora oggi il mezzo di sostentamento per 500 persone circa. A Nuraxi Figus, ogni giorno, si scende nel buio per ricavare carbone: lo si fa con tecniche molto meno usuranti per i minatori, prova ne è lo scarso numero di infortuni che campeggia sull'apposito cartello posto all'ingresso dello stabilimento. Lì di fianco è attiva la portineria-centralino, primo avamposto all'esterno dell'industria, dov'è di stanza tra gli altri un ex poliziotto in servizio a Firenze che garantisce con il sorriso sulla 'salubrità' della miniera da terzo millennio. Nuraxi Figus è attiva dai primi anni '70, è stata più volte sul punto di chiudere e proprio per questo fu luogo di uno dei più serrati confronti tra lavoratori e proprietà, culminati in lunghi mesi di occupazioni delle torrette: tutt'oggi, dall'esterno, sulle pareti degli edifici sono visibili scritte residue di quell'epoca (“Vogliamo lavorare” - “Qui l'Eni non entra più”). Oggi, nei 30 chilometri di tunnel all'interno della miniera (4 livelli, profondità massima 450 metri) ci si può spostare su appositi pick up realizzati da Toyota, che collega i diversi livelli attraverso una strada di 3 km e mezzo, pendenza 14 %. Buona parte del lavoro di perforazione e raccolta viene trasferito sulle macchine, ovvero sulla tagliatrice (Rabot) e sull'”armamento marciante”, un complesso di pistoni idraulici che si muovo via via che gli scavi allargano la volta di scavo. Resta nondimeno il rumore assordante, la polvere che si insinua ovunque, dentro e fuori la pelle; il buio continuo, giorno o notte che sia; e la distanza – in chilometri – dalla superficie esterna.
Il carbone estratto è impiegato da Enel per alimentare centrali elettriche, in particolare quella di Portoscuso. A fine 2006 con un apposito bando sono stati selezionati 25 nuovi minatori con contratto di apprendistato, su 2400 aspiranti: giovani under 30, tra loro anche qualche donna. All'inizio dell'estate 2007 tra i lavoratori si sono riaffacciate preoccupazioni dopo che è scaduta a vuoto una gara per la presentazione di offerte private, per rilevare lo stabilimento da parte della Regione Sardegna e contemporaneamente realizzare una nuova centrale elettrica da alimentare con il carbone di Nuraxi figus.

(16 dicembre 2007)

IN GALLERIA OGGI, A SERBARIU

Inaugurato da neppure un anno, il Museo-laboratorio di Carbonia, oggi, è una realtà in pieno divenire. L'ampia disponibilità di spazi che ancora restano da recuperare paiono destinati ad ospitare centri di ricerca sull'energia pulita, un master in architettura razionalista, una cineteca, un'area di botteghe artigiane, un museo paleontologico.
Già oggi, tuttavia, la visita vale un'abbondante ora e mezza di tempo. Un percorso interno che diventa avvincente se fatto in compagnia del personale addetto alle spiegazioni, peraltro molto disponibile, documentato e motivato. Si comincia dalla lampisteria, simulando il gesto dei minatori che lasciavano la targhetta per prendersi elmetto e lampada. Si passa in una delle torri di traino, contenente ancora l'argano originale, fondamentale per far risalire in superficie uomini e materiali: aprendo la porta, l'odore di carbone inonda le narici, al punto che quel luogo sembra chiuso appena la sera prima. L'interno scarno è del resto rimasto come l'ultimo giorno di attività. Il percorso prosegue poi finalmente sotto terra: si scende tramite quella che era l'uscita di sicurezza per i minatori, e si visita il primo degli otto livelli sotterranei che Serbariu arrivò a perforare nel corso degli anni. Si spazia dal carrugio, il corridoio principale, alle innumerevoli gallerie affluenti. Il nero ci pervade, il carbone scrocchia continuamente sotto i nostri piedi, passiamo in rassegna tutti gli aspetti dell'attività estrattiva quotidiana: il movimento delle berline, le tecniche di scavo, dalle iniziali a quelle più moderne basate su gigantesche ruote dentate chiamate Rabot (in uso, ad esempio, a Nuraxi Figus). Si immaginano gli aspetti più crudi di quelle giornate: le pignatte col pranzo appese in aria per scamparle dai topi, la mancanza di servizi igienici (con i bisogni fisiologici espletati in un angolo buio, prossimo al fronte di scavo), addirittura l'impiego della pipì per lavarsi, in mancanza d'altro. Si immaginano anche le non meno crude fasi collaterali: ad esempio l'impiego in superficie di bambini, usati come cernitori insieme alle donne fino ai 14 anni, e dopo già assoldati come minatori.
La risalita suscita sentimenti contrastanti: ci lasciamo alle spalle quasi un film avvincente, che in quanto tale forse avremmo voluto non finisse ancora; ma anche il contatto a pelle con la fatica, le disgrazie, la pena di migliaia di uomini e di famiglie. La guida ci saluta con cortesia, bookshop e caffetteria ci riportano gradualmente alle specificità di un attualità molto più attutita, gli anni 2000. che qui, a Carbonia, tuttavia, non hanno cancellato le memorie del passato.

(14 dicembre 2007)

CARBONIA 2006, LA SECONDA VITA DELLA MINIERA

Il CICC (o Museo del Carbone) è la nuova forma di vita che, dal 2006, ha coinvolto quei luoghi dove a cavallo dell'ultima guerra mondiale si sviluppò l'industria del carbone a Carbonia. A differenza di quanto avvenuto altrove (in Francia, ad esempio, dove nel Nord pas de Calais non hanno esitato un attimo a salvaguardare la memoria della miniera attiva fino al '91), una volta cessata l'attività Serbariu cadde nell'oblìo. “Dove sono finiti tutti i minatori della fatica immensa – lascia scritto in quegli anni un anonimo cavatore – i nostri padri, i nostri coraggiosi antenati. Dove sono?”.
Quella memoria è troppo forte, e recente, per questo margine di Sardegna, per essere definitivamente soppressa. Il nuovo millennio è il tempo del rigurgito, e tra i primi a percepirlo c'è il sindaco di Carbonia Tore Cherchi. Ingegnere minerario, già deputato Ds in Parlamento, nel 2002 fissa tra gli obiettivi del suo mandato il recupero di quell'area da 28 ettari che la storia ha perlopiù cristallizzato laggiù, a non più di 3 km. dal palazzo comunale. La comunità si lascia coinvolgere, spuntano cimeli, attrezzi di lavoro, brani di lettere: tutto può far museo e tutto lo fa, grazie soprattutto al finanziamento UE che la città sa sfruttare per coprire il 90 per cento dell'investimento necessario (22 milioni di euro). Il taglio del nastro avviene nell'autunno 2006: ai reduci di quell'epoca brillano gli occhi nel vedere ripresi a nova vita i 2500 metri quadri della Lampisteria (la sala dove i minatori prendevano o lasciavano elmetto e torce, indispensabili per il lavoro) che fu progettata da Pierluigi Nervi, e che ora ospita il cuore della parte espositiva del Centro.

(6 dicembre 2007)

CARBONIA 1938, PIOVONO UOMINI

Piovono uomini da tutte le parti. Buoni solo a franger zolle, a spinger vagoni, caricare e scaricare pesi”. Così annotava un impresario nel 1938, a Carbonia. Il disegno di onnipotenza del Duce, quello della città “a bocca di miniera, è compiuto: 30mila minatori lavorano sottoterra a Carbonia senza sosta, a turni di 8 ore, raddoppiati in caso di infortuni di colleghi, perché la macchina bellica è alle porte e la materia prima serve a getto continuo. Carbonia ha trovato il suo “oro nero”, estrarlo costa fatiche indicibili, e faticoso sarà anche staccarsene trent'anni dopo. Lo stabilimento di Serbariu cessa di estrarre carbone, perlopiù lignite, nel 1964: la sua convenienza a quel punto è venuta meno, schiacciata dalla più pura antracite del Belgio o dalla più economica manodopera di altri luoghi. Così viene chiuso definitivamente sette anni più tardi. In tre decenni erano morti 337 minatori, a migliaia erano stati feriti o segnati del lavoro per tutto il resto della loro vita. “Del resto, all'epoca a vita umana valeva ben poco. Si era fatto addirittura un passo indietro nell'alleggerimento delle fatiche: a inizio '900 nell'Iglesiente erano stati adottati i muli per trascinare le berline, ovvero i vagoncini carichi di una tonnellata di materia; a Carbonia si tornò agli uomini. Era più conveniente per l'azienda: non c'era da sfamarli o accudirli, ci pensavano da sé – piuttosto male, peraltro – quando tornavano in superficie”. A raccontarlo è Luca, una delle sette persone oggi a lavoro in pianta stabile nel “Centro italiano della cultura del carbone”.

(1 dicembre 2007)

CARBONIA, UNA CITTA' UN DESTINO

Prima del carbone, questa città non c'era. Prima dell'avvio delle estrazioni su larga scala, questa città era solo un piccolo borgo, Serbariu, alcuni chilometri più a nord della sua reale collocazione. Dopo, però, arrivò il carbone. Il Duce, prima di tutto, quel Benito Mussolini che nel '35 dopo un sopralluogo si convinse che sì, sotto quella sperduta piana del sud della Sardegna poteva esserci carbone in quantità, linfa (anzi, lignite) vitale per le aspirazioni di grandezza del fascio e motivo sufficiente per impiantare sul posto una città di sana pianta. In poco più di due anni nacque Carbonia, che nel giro dei successivi 20 raggiunse anche i 50mila abitanti (ma c'è chi parla di 75mila). Il fossile sottoterra c'era, la manodopera potenziale per cavarlo anche (arrivarono in masse da tutta l'isola, ma anche da Sicilia sud e Cento Italia) e tanto valeva dare fiato allo sviluppo. Magari realizzando quartieri come il “Lotto B”, file di fabbricati bassi e lunghi (a “camerone”) sena tramezzi, in cui i minatori di ventura si ammassavano per riposare tra un turno e l'altro. Nel centro della città (Piazza Roma) furono realizzati edifici che ancora oggi la connotano distintamente, anhe grazie a recenti restauri: il Dopolavoro Cine-teatro, edficio in forma di L utilizzato all'epoca anche per inizative di alfabetizzazione;la chiesa di San Ponziano, la torre campanaria.
Oggi Carbonia è una tranquilla cittadina di 30mila abitanti che solo ora si affaccia forse con convinzione sul mercato turistico, sulla scia di importanti iniziative di recupero del proprio passato (il restauro del centro, il recupero abitativo del Lotto B) che, inevitabilmente, puntano sulla miniera e sul carbone. Ma il carbone è, unico caso in Italia, ancora un importante realtà del presente. Raccontiamolo con ordine.

(28 novembre 2007)