martedì 17 gennaio 2012

CARBONIA 1938, PIOVONO UOMINI

Piovono uomini da tutte le parti. Buoni solo a franger zolle, a spinger vagoni, caricare e scaricare pesi”. Così annotava un impresario nel 1938, a Carbonia. Il disegno di onnipotenza del Duce, quello della città “a bocca di miniera, è compiuto: 30mila minatori lavorano sottoterra a Carbonia senza sosta, a turni di 8 ore, raddoppiati in caso di infortuni di colleghi, perché la macchina bellica è alle porte e la materia prima serve a getto continuo. Carbonia ha trovato il suo “oro nero”, estrarlo costa fatiche indicibili, e faticoso sarà anche staccarsene trent'anni dopo. Lo stabilimento di Serbariu cessa di estrarre carbone, perlopiù lignite, nel 1964: la sua convenienza a quel punto è venuta meno, schiacciata dalla più pura antracite del Belgio o dalla più economica manodopera di altri luoghi. Così viene chiuso definitivamente sette anni più tardi. In tre decenni erano morti 337 minatori, a migliaia erano stati feriti o segnati del lavoro per tutto il resto della loro vita. “Del resto, all'epoca a vita umana valeva ben poco. Si era fatto addirittura un passo indietro nell'alleggerimento delle fatiche: a inizio '900 nell'Iglesiente erano stati adottati i muli per trascinare le berline, ovvero i vagoncini carichi di una tonnellata di materia; a Carbonia si tornò agli uomini. Era più conveniente per l'azienda: non c'era da sfamarli o accudirli, ci pensavano da sé – piuttosto male, peraltro – quando tornavano in superficie”. A raccontarlo è Luca, una delle sette persone oggi a lavoro in pianta stabile nel “Centro italiano della cultura del carbone”.

(1 dicembre 2007)

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