La
prima miniera di memorie di quest'anno sbuca all'improvviso, come il
periscopio di un sommergibile nero. Che appare non sul mare, bensì
lungo un sentiero di risalita verso la vetta del più vivo e
viscerale dei monti d'Europa. Il sentiero e' il 723,
il monte e' l'Etna:
3400 metri in quota ad una vetta che da millenni il monte fa e disfa
a proprio piacimento, attingendo a quella straordinaria riserva di
materia che conserva sotto il suo cratere. Quando saliamo, l'ultimo
ritocco risale a pochi giorni prima: l'eruzione estiva del 2014 ha
creato una nuova e più alta cresta sul cratere di sud est. Bagliori,
lapilli ed esplosioni sono ora terminati, sminuendo apparentemente la
spettacolarità della nostra escursione programmata grazie a due cari
amici catenoti. Per contro, scopriremo cammin facendo che il non
avere lo sguardo fisso sulla vetta consente di apprezzare meglio ciò
che ci troviamo sotto i piedi e dintorno, passo dopo passo.
La
camminata prende il via intorno alle 4 del pomeriggio dal Rifugio
Citelli,
una delle basi storiche e necessarie per ogni spostamento alle
pendici de vulcano. A guidarla e' Daniele
Pennisi,
guida ambientale e membro di un manipolo di persone che da un paio
d'anni si e' preso in carico la gestione del rifugio. Dentro al
quale, durante un veloce pasto prima del via, ci adattiamo
gradualmente alla percezione di quei contrasti
che
caratterizzano l'essenza stessa di questo habitat. Contrasti che si
affacciano casualmente sullo schermo tv (mangiare in un rifugio
seguendo una gara di tuffi ci sembra piuttosto anomalo), fanno
capolino dalla cucina (dove opera un barbuto aiuto-cuoco,
valtellinese nell'aspetto e nell'accento, da alcuni anni trasferitosi
fin quaggiù per scelta professionale e di vita). E soprattutto, si
materializzano ogni volta che muoviamo lo sguardo tra la vetta e
quanto più in basso a valle, ovvero al mare.
Con
Daniele e con l'ambiente in cui ci introduce, il nostro piccolo
gruppo (7 persone, tra cui 2 bambini di 9 anni) prende confidenza
gradualmente. La prima ora passa quasi silente, con i più piccoli
che manifestano più apertamente il disagio che ognuno riscontra
nell'adattarsi a pendenze crescenti, pietre scivolose e distese di
sassolini neri in cui ogni nuovo passo sembra affogare più del
precedente. Non ci sono elementi scientifici per provarlo, ma in
realtà la prima causa di disagio in questa fase per il nostro
organismo è progressivo addentrarsi in un contesto tanto naturale
quanto avulso dalla natura a cui siamo abituati. Questo nero
totalizzante, le betulle e gli astragali che incredibilmente vi
ricrescono sopra, la percezione di una sì gigantesca forza è
qualcosa che non può non creare turbamenti ad esseri come i nostri,
sin troppo avvezzi a situazioni da total control dell'uomo sul
suo ambiente.
Due
voci di donna poco sotto di noi, ad un certo punto, smorzano la
tensione. Sono due escursioniste 'free', incamminatesi da sole e
presto sperdute nella vegetazione. Daniele scende a valle di pochi
metri, quanto basta per instradarle sul sentiero. L'occasione è
propizia per far riprendere fiato al gruppo. E per raccogliere lo
sfogo della guida sull'improvvisazione che accompagna sul
vulcano masse di persone di ogni genere ed età, ogni volta che la
lava si staglia all'orizzonte. "Tre minorenni con tacchi a
spillo e minigonne rimaste incastrate con una minicar. Oppure una
coppia con infradito ai piedi: ultimamente ho trovato gente di questo
tipo - racconta Daniele - purtroppo la notorietà del posto non si
accompagna ad un'adeguata consapevolezza".
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